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Responsabilità dell’amministratore di fatto ed elemento soggettivo del reato di omessa dichiarazione.

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 Cassazione penale, Sez. III, n. 32241 del 26 agosto 2021

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dalla difesa di un amministratore di società, ha analizzato due importanti questioni attinenti al reato di omessa dichiarazione, ex art. 5, D.lgs. n. 74/2000.

In particolare, la Suprema Corte si è chiesta, in primo luogo, se il reato de quo possa essere ascritto anche all’amministratore di fatto e, secondariamente, quale sia la portata e come possa provarsi la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie.

Quanto al primo nodo problematico, la Corte ha ribadito che essendo l’omessa dichiarazione un reato omissivo proprio, esso può essere posto in essere da chi è in concreto tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale obbligatoria.

La Cassazione, per questo motivo, ritiene che il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA  sia configurabile nei confronti dell’amministratore di fatto e che, invece, l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, risponda a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (art. 40 c.p., comma 2, e art. 2932 c.c.) ad eccezione del caso in cui lo stesso sia privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società.

Quanto all’elemento soggettivo del reato, la Cassazione conferma che, per l’integrazione del delitto de quo, è richiesto il dolo specifico, con esso intendendosi l’esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte. Segnatamente, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la “prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione, può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta e detto superamento deve formare oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente, avendo la soglia natura di elemento costitutivo del reato”.

Dalla lettura della pronuncia che si allega, si ricava che la norma tributaria considera  “personale ed indelegabile il relativo dovere” in relazione al ruolo rivestito e che la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull’operato del professionista, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali che dimostrino che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale.

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